Gianna Albertin

Il viaggio

Volantino

Il viaggio di Gianna Albertin ha inizio con la materia prediletta, la terracotta, che da tempo si presta ad innumerevoli e personalissime interpretazioni.

L’artista ci ha abituato alla visione di vasi, piatti, scudi, di forme originali, con decorazioni plastiche studiatissime. Ci ha stupito quando ha esibito arazzi e tappeti bidimensionali, monocromi o vibranti di tonalità, ma sempre innervati di intarsi geometrici, di cesure e di legami evocativi di mondi lontani, di culture arcaiche ma nello stesso tempo simbolici di condizioni interiori universali.

Ora ci sorprende ancora di più con la recente e recentissima produzione che annovera un soggetto quotidiano, apparentemente banale e di “uso” comune: le scarpe. Non da indossare, certamente, ma da vedere, da gustare, da osservare nei minimi particolari. Il desiderio forte è di toccarle, di accarezzarle perché sono opere che richiedono un’esplorazione tattile, una sperimentazione diretta.

Coloratissime o spente, aggressive o morbide, elaborate o semplici, queste scarpe – parliamo sempre di paia – incarnano stati d’animo che appartengono a tutti gli esseri viventi come l’ansia, l’aggressività, l’ambiguità, la rabbia. Si tratta di figurazioni surreali e metamorfiche, plasmate con grande effetto scenico e cromatico che in alcuni casi rappresentano anche lo skyline urbano di grattacieli e architetture metropolitane o gli ingranaggi di macchine futuristiche.

Ci sono pure le “scarpe-spie” dotate di binocoli perfetti che ci guardano e scrutano il mondo che ci circonda. Un mondo sciupato, che ha perso vigore e bellezza, come ci racconta l’albero piegato con le chiome divelte e con il tronco eroso.

È l’emblema della natura insultata, deturpata, assalita e abbandonata.

Altre scarpe, ricoperte di foglie cadute e dotate di grandi occhi (ritorna l’azione del guardare) testimoniano tutto questo ma l’artista Gianna Albertin non si arrende. L’urgenza creativa delle sue mani e la potenza della materia concorrono a costruire un mondo nuovo, dove torna a scorrere l’acqua cristallina, fonte di vita, dove i rami rinverdiscono e le piante si rianimano con bagliori dorati inattesi.

Se il mitico vaso di Pandora è stato aperto e tutti i mali si sono diffusi, c’è pur sempre la possibilità di un riscatto, di un superamento, di una rinascita. E questa fede si sprigiona dalla terra, dall’impasto, dalla forma, dalla volontà di innalzare orizzonti di speranza e di luce per approdare ad una dimensione altra, ad una latitudine intima e personale in cui la salvezza è ancora possibile.

Lorena Gava